Dall’osteria di Pietro Sartori 
alla multinazionale del vino
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Dall’osteria di Pietro Sartori 
alla multinazionale del vino


di Emanuele Scarci

Ultima Modifica: 30/03/2020

La casa vinicola Sartori festeggia 122 anni, ma il fondatore Pietro era un oste veronese che all’inizio, nel 1898, mise radici in Valpolicella.

“Un oste conosciuto da tutti coloro che a cavallo passavano nei pressi di cartiere Fedrigoni e volevano godersi un momento di ristoro – racconta l’azienda – con una vivanda calda accompagnata da un buon bicchiere di vino”.

“Ho conosciuto il mio bisnonno, ma non mio nonno, perché il destino volle che il padre sopravvivesse a suo figlio – racconta il presidente odierno Andrea Sartori -. Nonostante il carattere burbero, nutriva per me e mio fratello una particolare predilezione perché i primi nipoti maschi. Me ne accorsi quando di ritorno da Sanremo, dove, ormai anziano, abitualmente svernava, portò due giocattoli: un gesto inatteso. Avevo 4 anni e ricordo nitidamente questa scena”.

L’azienda Sartori nasce infatti proprio dalla verve imprenditoriale di nonno Pietro, titolare di una trattoria nell’ultimo scorcio del 1800.

trattoria sartori

La trattoria di Pietro Sartori rappresentava una tappa irrinunciabile per commercianti, uomini d’affari e piccoli industriali della zona, ai quali Pietro non faceva mancare un ottimo vino Veronese Rosso, come al tempo veniva definito.


Fu proprio l’albergo e la sua posizione strategica a trasformare Pietro in un commerciante di vino: la mescita giornaliera al banco e la vendita diretta al pubblico in damigiane e in bottiglie ne rendevano urgente l’approvvigionamento costante in quantità e qualità. Così, nel 1898 nonno Pietro acquistò la sua prima vigna nella zona di Negrar e
in seguito l’intero complesso Noris a Santa Maria di Negrar: l’unico modo per garantire che il vino arrivasse sulla tavola dei clienti.

Una grande famiglia

Fernanda e Regolo Sartori
Fernanda e Regolo Sartori


Pietro ebbe cinque figli ma solo Regolo manifestò la vocazione per il vino. Sarà lui a occuparsi dell’azienda dopo il ritiro di Pietro e a rilanciare verso il secondo cinquantennio del secolo il marchio di famiglia. Regolo era un buon assaggiatore e anche un commerciante avveduto che puntò subito ad uscire da Verona e crescere sul mercato italiano.


Dopo la parentesi della s
econda guerra mondiale, nel 1947 Sartori riprende ufficialmente a produrre e commercializzare i suoi vini. L’azienda cresce, i numeri diventano importanti, l’espansione è ancora la priorità di Regolo, che migliora le tecnologie, acquista nuovi mezzi, lavora senza mai concedersi una vacanza.


Ma nel 1952 Regolo muore e i due giovani figli, nonostante le difficoltà, assumono la reggenza dell’azienda. Pierumberto segue la gestione commerciale mentre Franco gestisce la produzione tecnica e la gestione del personale.
Pierumberto e Franco, dagli anni ‘30 iniziarono l’espansione nel mondo, a partire da Germania e Stati Uniti. “Mio padre Pierumberto – commenta Andrea Sartori – ha avuto la visione dell’export e l’ha sviluppata a fondo”.
I poderi di famiglia sono la cassaforte delle varietà viticole più importanti e celebrate: Amarone, Valpolicella, Soave.

 

L’apertura dell’azienda

Pierumberto e Franco Sartori
Pierumberto e Franco Sartori


Verso la fine degli anni ’90 Pierumberto e Franco allentano il legame con la guida dell’azienda. Il passaggio di consegne coincide con un evento importante non solo per gli assetti societari, ma anche per l’identità della Sartori di Verona.
Nel 2001 la Cantina sociale di Colognola ai Colli acquisisce una quota del 40% della parte aziendale (non immobiliare) della Casa Vinicola Sartori. Colognola dispone di 800 soci. Grazie a questa operazione, Sartori dispone oggi di 2.700 ettari di vigneti di cui 25 ettari di proprietà, 15 in affitto e 80 gestiti da conferenti storici da oltre mezzo secolo.

L’obiettivo è avviare un comune progetto di crescita molto ambizioso,  di fatto l’accordo sancisce l’inizio di una nuova era in casa Sartori con una quantità di vigneti mai conosciuta prima, un fatturato in grande crescita, una disponibilità di uomini, mezzi, conoscenze, esperienza, capacità organizzativa.


“Personalmente non è mai piaciuto il modello francese per aziende di una certa dimensione – commenta Andrea Sartori – cioè quello di acquistare vino sfuso e uve sul mercato e andare avanti con contratti spot. Ho sempre pensato che fosse necessario avere il controllo dall’uva alla bottiglia, ma non potendo la mia famiglia acquistare vigneti per oltre 18 milioni di bottiglie una partnership era inevitabile”.


Nel 1999 nasce l’idea di selezionare qualcuno che avesse i vigneti e la capacità di vinificare ma non la parte commerciale e i mercati dei sartori.  “Dopo un po’ di tempo – ricorda Sartori – isolammo Colognola: ci piaceva la piattaforma dei vigneti, le capacità tecniche e anche il suo direttore,
Giancarlo Lechthaler”.
Ma nel corso della partnership, la famiglia veronese ha scoperto un altro valore aggiunto che non sospettava. “L’ingresso nel consiglio di amministrazione di 3 consiglieri di Colognola su 7 complessivi – sottolinea Sartori – ci ha insegnato a ragionare come azienda e non più solo come famiglia”. 
Oggi la cantina, guidata da Andrea, Luca e Paolo Sartori, è una realtà da 18,5 milioni di bottiglie, per il 75% vendute in 50 Paesi.

La sfida del biologico


Uno dei progetti più coinvolgenti per la cantina di Negrar è stata l’acquisizione, nel 2008, della Mont’Albano, azienda agricola friulana fra le prime a credere e a investire nel vino biologico.
Sartori ha sposato la filosofia del suo fondatore Mauro Braidot che è rimasto nella cabina di regia dell’azienda: è stato dotato dei mezzi più innovativi per produrre i vini classici della zona Doc Friuli Grave.

E’ una bella esperienza nonostante le difficoltà esistenti – commenta Sartori -: fare il vino biologico nel nord Italia non è così semplice come farlo in Sicilia e in Puglia. Il clima è diverso ma il mercato cresce, non così velocemente come il food, ma cresce. In Italia le vendite di vino biologico sono tutt’altro che vivaci, ma il nord Europa e la Germania sono mercati molto ricettivi, il baricentro dell’interesse per questo prodotto. Tuttavia abbiamo avviato anche iniziative commerciali a Oriente e nel Caribe e presto dovremmo partire con un importatore negli Usa”.   

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L'Autore

giornalista